Le disposizioni di cui al Decreto Liquidità relative alle facoltà di modificare i piani sottesi ai concordati preventivi e agli accordi di ristrutturazione dei debiti si pongono in sorprendente continuità con quanto già stabilito dalla legge fallimentare. Tale constatazione potrebbe indurre a interrogarsi sulla reale utilità dell’intervento legislativo e sul perché il legislatore non abbia considerato le disposizioni contenute nel nuovo CCI, in particolare in ordine agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
La modificabilità del piano nella L. Fall. – La legittimità della modifica del piano concordatario è ricavabile da specifiche disposizioni recate dagli artt. 161, comma 3, 162, comma 1, 175, 179 e 180, di cui in sintesi tra breve, riferibili alle quattro fasi della procedura stessa. Si tratta, nello specifico, delle fasi che vanno:
Per quanto attiene agli accordi di ristrutturazione dei debiti, il tema della modificabilità del piano è invece meno complessa poiché è normale che esso sia elaborato in relazione agli accordi contratti tra il debitore e i creditori, i quali tutti devono essere definiti al momento della presentazione della domanda di omologazione.
Da quanto indicato ne discende che il piano, una volta omologato il concordato o l’accordo che lo sottende, non può più essere modificato.
Le novità del Decreto Liquidità (D. L. n. 23/2020 – L. n. 40/2020)– Le novità recate dal Decreto Liquidità in relazione alle modifiche dei piani che trovino ragione nell’emergenza sanitaria inducono a distinguere, come avviene in base alla normativa fallimentare, tra il momento ante omologa e quello post omologa dei procedimenti relativi ai concordati preventivi e agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Nell’art. 9 del D. L. n. 23/2020 è stato previsto, infatti, in relazione al periodo ante omologa, che nei rispettivi procedimenti pendenti alla data del 23 febbraio 2020, il debitore, entro la data fissata per l’udienza dell’omologa, può presentare un’istanza al tribunale per la concessione di un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di un nuovo piano o di una nuova proposta o di nuovi accordi. L’istanza è inammissibile se presentata nell’ambito di un procedimento di concordato nel corso del quale l’adunanza dei creditori è già stata tenuta ma le maggioranze stabilite per l’approvazione della proposta non sono state raggiunte. Se il debitore ha necessità, di contro, di modificare esclusivamente i termini di adempimento stabiliti nel piano, entro la data fissata per l’udienza di omologa, può depositare una memoria contenete l’indicazione dei nuovi termini, il cui differimento non può essere superiore a sei mesi, unitamente alla documentazione che comprova la necessità della modifica di detti termini.
Qualora, invece, la proposta di concordato sia già stata omologata, la medesima disposizione del D. L. n. 23/2020 prevede, esclusivamente, che le scadenze stabilite nel piano per gli adempimenti aventi termine tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021 siano rinviate di sei mesi. Si segnala, a margine, che l’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 11/E/2020, ha tenuto a precisare che detto rinvio si applica anche alle scadenze derivanti da una transazione fiscale conclusa in sede di concordato o di accordo di ristrutturazione.
Considerazioni e prospettiva del CCI – Gli interventi speciali del legislatore testé richiamati si pongono in continuità con l’attuale sistema delineato dalla L. Fall. in rapporto alla modificabilità del piano; ovverosia, in sintesi, la possibilità di emendarlo prima dell’omologazione, ma non successivamente. Inoltre, mediante le stesse, si conferma che la procedura è strutturata in maniera tale da rendere più incisivo il controllo del Tribunale in caso di modifiche sostanziali e più blando in caso di modifiche ‘formali’, quali la semplice modifica dei termini. Il che parrebbe implicare che qualora sia richiesta la fissazione di un ulteriore termine per la presentazione di un nuovo piano, ovverosia di un piano modificato ‘sostanzialmente’, esso debba essere accompagnato da una nuova attestazione del professionista indipendente.
Il vulnus della disciplina emergenziale è invece da ricercare nelle previsioni relative ai piani riferibili a concordati o accordi di ristrutturazione già omologati e in corso di esecuzione, per i quali è stabilito semplicemente un differimento dei termini negli stessi stabiliti.
Detti piani, infatti, non risultano modificabili; ed esclusivamente una previsione in tal senso avrebbe reso tale disciplina completa e ‘speciale’.
In proposito si richiama che la modifica dei piani successivamente all’omologazione è prevista nel nuovo CCI, all’art. 58, comma 2, in relazione almeno agli accordi di ristrutturazione, in cui è stabilito che, qualora dopo l’omologazione si rendano necessarie modifiche sostanziali del piano, l’imprenditore vi apporta le modifiche idonee ad assicurare l’esecuzione degli accordi, richiedendo al professionista indipendente il rinnovo dell’attestazione. Il piano e l’attestazione devono poi essere pubblicati nel registro delle imprese e ne deve essere data comunicazione ai creditori, i quali possono proporre opposizione davanti al tribunale.
Di contro tale opportunità, nel CCI, in ordine al concordato preventivo non è prevista.
Ci si chiede quindi perché il legislatore non abbia considerato, tra gli strumenti necessari a far fronte all’emergenza causata dalla gestione del diffondersi del COVID-19, oltre la proroga dei termini previsti per l’esecuzione dei concordati e degli accordi – di cui si è dato conto in precedenza –, anche la modifica dei piani ad essi sottesi, magari mediante una procedura ad hoc, sulla falsariga di quanto previsto in relazione all’accordo di ristrutturazione nel CCI.