L’art.26 del D.L 34/2020 (c.d. “Rilancio”) ha introdotto specifiche agevolazioni per gli aumenti di capitale deliberati a favore di medie imprese con fatturato compreso tra i 5 e i 50 milioni di euro.
In particolare, viene previsto che qualora la società conferitaria abbia subito nei mesi di marzo e aprile 2020 una riduzione dei ricavi di cui all’articolo 85, comma 1, lettere a) e b), del T.U.I.R. rispetto a quelli degli stessi mesi per l’esercizio 2019 pari ad almeno il 33%, la stessa possa godere di un credito d’imposta pari al 50% della perdita eccedente il 10% del patrimonio considerato al lordo della perdita, fino ad un massimo di 30% dell’aumento totale (condizione necessaria per la fruizione del credito per la conferitaria è quindi la chiusura del bilancio d’esercizio 2020 con una perdita). Oltre al credito per la conferitaria viene altresì previsto un credito a favore del soggetto che apporta il capitale, pari al 20% di quanto versato.
Aldilà dei dettagli tecnici riferiti ai requisiti e alle condizioni per fruire del beneficio, quello che preme porre in evidenza riguarda la problematica questione relativa ai requisiti soggettivi che devono possedere i conferitari, per i quali è richiesto che gli stessi assumano la forma societaria di società di capitali, precludendo l’accesso al regime per gli intermediari finanziari e le società di partecipazione, ai sensi dell’art.162-bis del T.U.I.R. e le imprese che svolgono attività assicurativa. Oltre a questo, viene inoltre disposto che «non possono beneficiare del credito d’imposta le società che controllano direttamente o indirettamente la società conferitaria, sono sottoposte a comune controllo o sono collegate con la stessa ovvero sono da questa controllate».
Tale previsione opera evidentemente per evitare che si generino duplicazioni di benefici in capo al medesimo gruppo: a fronte di un’unica immissione di capitale si potrebbero generare, infatti, crediti “a cascata”. Tuttavia, così formulata, ossia prevedendo sia l’esclusione tra i soggetti conferitari delle società di partecipazione sia che il conferente non possa essere un soggetto controllante, la norma limita notevolmente la portata applicativa del beneficio, che finirebbe per applicarsi ad una limitatissima platea di casi.
Non sfugge a nessuno, infatti, che la forma tipica di detenzione di partecipazioni nella maggior parte dei gruppi italiani sia attraverso una holding familiare. Attraverso tali due limitazioni soggettive, tanto in riferimento al soggetto conferitario che non può essere secondo quanto normato sopra una holding, quanto in riferimento al soggetto conferente che non può essere la società controllante, si preclude la possibilità di accesso al regime a tutti quei soggetti che detengano per il tramite di un veicolo societario le partecipazioni.
È certamente lodevole la volontà di evitare che si generino forme di utilizzo abusivo del beneficio, ma non si capisce per quale ragione impedire l’accesso al credito qualora l’aumento avvenga per il tramite di una holding quando, invece, se fosse effettuato direttamente dalle persone fisiche tale limitazione non si verificherebbe.
Sarebbe più corretto ipotizzare, in sede di conversione, forme alternative di contrasto alle duplicazioni di beneficio come avviene ad esempio nella disciplina ACE, in cui la sterilizzazione degli aumenti a cascata avviene attraverso l’identificazione di specifiche forme abusive di aumento.