Credito di imposta su DTA su perdite fiscali ed eccedenze ACE

Pubblicato il: 03/04/2020 – 10:45

Il Decreto Cura Italia, all’art. 55, ha previsto una misura di sostegno finanziario alle imprese, che consente la monetizzazione tramite trasformazione in crediti di imposta delle DTA su perdite fiscali ed eccedenze ACE non dedotte. La norma è comunque molto complessa e presenta alcuni profili di incertezza.

La disposizione– Il Decreto Cura Italia, all’art. 55, ha previsto una misura di sostegno finanziario alle imprese, sostituendo l’articolo 44-bis del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34 (Decreto crescita), convertito con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58.

La disposizione è molto complessa e può creare non pochi problemi di interpretazione.

In estrema sintesi, le società che cedono a titolo oneroso entro il 31 dicembre 2020 i crediti, commerciali o finanziari, vantati nei confronti di debitori inadempienti possono trasformare in crediti d’imposta le attività per imposte anticipate (DTA) relative alle perdite fiscali non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile alla data della cessione e relative alle eccedenze ACE, che, alla data della cessione dei crediti, non siano state ancora usufruite o dedotte dal reddito imponibile e che, altrimenti, in base al regime “ordinario” avrebbero trovato assorbimento solo in anni futuri.

Quindi, una disposizione volta ad incentivare la cessione di crediti deteriorati, al fine di sostenerne la liquidità.

La norma, da un punto di vista soggettivo, trova applicazione nei riguardi di tutte le società e dei soggetti d’impresa (ad esclusione di quelli in stato o rischio di dissesto, ovvero in stato insolvenza), mentre, sotto il profilo oggettivo, come detto, trova applicazione unicamente ove sussistano:

  • perdite fiscali riportabili, di cui all’articolo 84 del Tuir, e/o
  • la cosiddetta eccedenza di base ACE riportabile in avanti, di cui all’articolo 1, comma 4, Dl. n. 201/2011.

Le società che cedono a titolo oneroso, entro il 31 dicembre 2020, i crediti pecuniari, sia commerciali che di finanziamento, vantati nei confronti di debitori inadempienti, previa opzione, che può essere esercitata entro la chiusura del periodo in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti, possono dunque trasformare in credito d’imposta le attività per DTA riferite alle poste sopra indicate, anche se non sono iscritte in bilancio.

Per quanto attiene poi alla nozione di credito deteriorato, la norma dispone che si è in presenza di un “debitore inadempiente” quando il mancato pagamento si protrae per oltre 90 giorni dalla data di scadenza.

La quota massima di DTA trasformabili in credito d’imposta è comunque limitata al 20% del valore nominale dei crediti ceduti. E quindi se una società cede crediti per 1 milione di euro, potrà trasformare in credito d’imposta una quota massima di DTA pari a 200.000 euro (e sempre che disponga di almeno 200.000 euro di perdite fiscali), ottenendo pertanto un credito d’imposta (data l’attuale aliquota IRES del 24%) di 48.000 euro.

E tali crediti devono essere ceduti nei confronti di soggetti terzi, non riguardando quindi la disposizione le cessioni di crediti infragruppo.
I crediti d’imposta così “trasformati”, che vanno indicati in dichiarazione e non concorrono comunque né alla formazione del reddito imponibile (né ai fini Ires, né ai fini Irap), possono essere utilizzati, senza limiti di importo, in compensazione in F24, ovvero possono essere ceduti, o chiesti a rimborso.

I profili di incertezza – Tanto premesso in ordine alla disciplina, di seguito alcuni possibili profili di incertezza.

La trasformazione delle DTA in credito di imposta, come espressamente stabilito in norma, è efficace già alla data di cessione dei crediti (con dunque beneficio immediato sulla posizione finanziaria dei bilanci 2020), ma non è chiarito esattamente il momento dal quale i crediti di imposta (trasformati) possono essere utilizzati (in compensazione).

La ratio dovrebbe essere quella della decorrenza immediata, ma il riferimento (comma 3) all’efficacia dell’opzione, che la norma stessa fissa all’esercizio successivo a quello di cessione dei crediti deteriorati, lascia dubbi in merito, anche perché, se fosse come da interpretazione letterale, la previsione sarebbe davvero poco utile ai fini dell’emergenza.

Come detto, il comma 3 della norma in esame stabilisce che la trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta è condizionata all’esercizio, da parte della società cedente, dell’opzione di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119.

Tale norma (come anche commentata dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 32/2016) prevede che la trasformazione in crediti di imposta (per le DTA di tipo 2, relative cioè ad attività per imposte anticipate cui non corrisponde un effettivo pagamento di imposte) sia condizionata ad una opzione che si considera esercitata con il pagamento di un canone dell’1,5% (calcolato sulla differenza tra imposte anticipate e imposte versate nel periodo). Il richiamo a tale articolo comporta quindi che va versato anche il canone (come in effetti sembrerebbe)? Oppure il richiamo alla norma vale solo per le modalità di esecuzione?

A tal proposito si evidenzia del resto che il citato canone era stato previsto per far sì che non ci fossero rilievi comunitari in termini di aiuti di Stato.

Ma essendo ora la disciplina sugli aiuti di Stato “sospesa”, il problema potrebbe non sussistere.

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