Rinuncia dei crediti dei soci relativi ai finanziamenti: effetti civilistici e fiscali

Pubblicato il: 13/03/2020 – 15:12

Le società, in sede di approvazione del bilancio relativo allo scorso esercizio 2018, potrebbero aver deliberato la copertura delle perdite secondo quanto previsto dal codice civile. Le disposizioni interessate sono due ed una di esse condiziona la distribuzione dell’utile di esercizio relativo al 2019. Infatti, tale distribuzione non potrà essere effettuata, fin quando non saranno state “ripianate” le perdite pregresse.

L’esercizio in perdite: le conseguenze – L’articolo 2447 del codice civile dispone che “Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al di sotto del minimo stabilito dall’articolo 2327, gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società”.

Alcuni dei vincoli relativi alla distribuzione degli utili sono previsti dall’articolo 2433, commi 2, 3 e 4 del codice civile. In particolare:

  • non possono essere pagati dividendi sulle azioni, se non per utili realmente conseguiti e risultanti dal bilancio regolarmente approvato;
  • se ne è conseguita una perdita del capitale sociale, non è possibile ripartire utili fino a quando il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente;
  • i dividendi erogati in violazione delle disposizioni in questione non sono ripetibili, se i soci li hanno riscossi in buona fede in base ad un bilancio regolarmente approvato, da cui risultano utili netti corrispondenti.

Conseguentemente, se in uno dei pregressi esercizi l’impresa ha conseguito una perdita, ed i bilanci relativi ai periodi successivi hanno sempre evidenziato risultati positivi, sussiste l’interesse dei soci alla patrimonializzazione della società. Infatti, il “ripianamento” delle perdite pregresse costituisce un presupposto essenziale al fine di deliberare la distribuzione degli utili conseguiti nei periodi di imposta successivi.

La rinuncia dei soci ai crediti derivanti da precedenti finanziamenti – Una delle modalità che sovente risulta utilizzata per patrimonializzare le società che hanno necessità di ripianare le perdite di esercizio, consiste nella rinuncia dei crediti da parte dei soci relativi ai finanziamenti dagli stessi effettuati.

Secondo quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate, fatta salva la previsione di cui all’art. 88, comma 4 – bis del TUIR, l’operazione di rinuncia, che determina una “cancellazione” del debito nel passivo dello stato patrimoniale della società partecipata, è irrilevante sotto il profilo reddituale. La sopravvenienza attiva non è tassabile e la circostanza trova giustificazione nella volontà del socio di patrimonializzare la società partecipata.

Dal punto di vista civilistico la rinuncia del credito da parte del socio incrementa il patrimonio della società. Lo prevede espressamente il principio contabile OIC 28. La rinuncia del credito da parte del socio – se dalle evidenze disponibili è desumibile che la natura della transazione è il rafforzamento patrimoniale della società – è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio a prescindere dalla natura originaria del credito. Pertanto, in tal caso la rinuncia del socio al suo diritto di credito trasforma il valore contabile del debito della società in una posta di patrimonio netto.

L’operazione, come anticipato è, in linea di principio, neutra anche dal punto di vista fiscale. L’art. 88, comma 4 del TUIR prevede che “Non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), dai propri soci, né gli apporti effettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni”.

Tuttavia, il successivo comma 4 – bis, aggiunto dal c. decreto internazionalizzazione, subordina la neutralità fiscale alla sussistenza di specifiche condizioni. La disposizione prevede che “La rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tal fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero […]”.

Conseguentemente, se il credito oggetto di rinuncia è pari a 100.000 euro, ed il valore fiscalmente riconosciuto ammonta a 80.000 euro, l’importo di 20.000 euro costituisce una sopravvenienza attiva tassabile. In pratica, dal punto di vista civilistico, a seguito della rinuncia, la società avrà beneficiato di un incremento del patrimonio netto di 100.000 euro; invece dal punto di vista fiscale, dovrà essere apportata all’interno della dichiarazione dei redditi, una variazione in aumento di 20.000 euro relativa alla sopravvenienza attiva tassabile.

La dichiarazione sostitutiva di atto notorio – Il comma 4 – bis in commento è una disposizione antielusiva. Il legislatore ha inteso impedire che i soci acquistassero crediti vantati verso la società partecipata ad un prezzo inferiore al valore nominale determinando un “salto” di imposta”. Infatti, il soggetto cedente il credito (ad un valore inferiore rispetto al nominale) considererà in deduzione la differenza tra il valore normale ed il costo fiscalmente riconosciuto, invece la società partecipata beneficiaria della rinuncia, non subirà alcuna tassazione a seguito della cancellazione del debito.

Si consideri ad esempio il caso in cui la banca Gamma abbia un credito verso la società Beta di 100. Tizio, soco di Beta, decide di acquistare il credito dalla banca Gamma ad un corrispettivo pari a 80. In tale ipotesi la banca considera in deduzione la perdita di 20. Se, successivamente, il socio che ha acquistato il credito rinuncia allo stesso, la detassazione totale della sopravvenienza determina, come detto, un salto di imposta avendo la banca beneficiato della deduzione della perdita pari a 20. Per tale ragione il comma 4-bis determina una sopravvenienza attiva rilevante ai fini fiscali di pari importo. Pertanto, se la banca che ha ceduto il credito può considerare in deduzione l’importo pari a 20, la società partecipata che beneficia della rinuncia, deve sottoporre a tassazione l’importo equivalente pari a 20.

Per tale ragione, il comma 4-bis in rassegna prevede l’obbligo di rilascio alla società che ha beneficiato della rinuncia di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante il valore fiscalmente riconosciuto del credito. Pertanto, tornando all’esempio, se tale valore fosse pari a 100, non conseguirebbe alcuna sopravvenienza tassabile. Invece, il mancato rilascio della dichiarazione sostitutiva di atto notorio determinerebbe l’attribuzione al credito di un valore fiscalmente riconosciuto pari a zero. In tale ipotesi, l’intero importo della sopravvenienza risulterebbe tassabile.

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che se il soggetto rinunciante è una persona fisica, non è necessario il rilascio della dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Il chiarimento è stato fornito con la Ris. n. 124/E del 2017. In tale ipotesi, non possono verificarsi quelle “distorsioni – dovute appunto alla mancata coincidenza tra il valore nominale dei crediti e il loro valore fiscale (ad esempio, per effetto di svalutazione) – che il legislatore ha inteso scongiurare e che sono ravvisabili soltanto in presenza di un’attività d’impresa”.

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