Dalla pronuncia della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale il debitore viene spossessato dei propri beni. Viene privato, cioè, sia della disponibilità di ogni suo bene che della relativa amministrazione. Infatti, tali attività vengono affidate al curatore, quale soggetto abilitato a compiere tutti gli atti dispositivi sui beni del debitore. Tra i beni oggetto di spossessamento vi è anche la casa di abitazione. Alcuni beni, invece, a carattere strettamente personale, sono esclusi dallo spossessamento in via permanente o temporanea.
La tutela del soggetto debole – Il soggetto che incorre in una procedura fallimentare, in applicazione delle varie restrizioni previste dalla Legge, è da considerarsi soggetto debole. Le norme attualmente in vigore, contenute sia nella legge fallimentare che nel codice della crisi e dell’insolvenza, che entrerà in vigore a breve, contengono delle disposizioni che regolano la tutela della casa di abitazione del soggetto ritenuto debole dall’ordinamento.
La previsione della Legge fallimentare sulla tutela dell’abitazione del fallito – La legge fallimentare all’articolo 47, comma 2, prevede che “La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività”. Tale norma è stata oggetto di interpretazioni non univoche. Un primo orientamento giurisprudenziale ritiene che l’espressione “fino alla liquidazione delle attività” non debba essere intesa nel senso di far coincidere l’alienazione dell’abitazione del fallito con l’ultimo atto della liquidazione; sicché, allo stesso, si concede di godere del bene in esame fino a che non siano stati ceduti tutti gli altri beni facenti parte della massa attiva. Altro orientamento giurisprudenziale ritiene, invece, che l’abitazione concessa in uso al fallito non possa essere oggetto di vendita fino a quando non siano state realizzate tutte le attività presenti nella procedura fallimentare. Tali divergenti interpretazioni sono venute meno con l’emanazione del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
La previsione del nuovo Ccii sulla tutela dell’abitazione del debitore – Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, per porre fine alle divergenze di cui sopra, all’articolo 147, 2° comma, prevede che “La casa della quale il debitore è proprietario o può godere in quanto titolare di altro diritto reale, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla sua liquidazione”. Oggetto di uso potrà essere non solo l’abitazione di proprietà, ma anche quella sulla quale il debitore è titolare di usufrutto, uso o abitazione, a condizione che tali diritti reali siano sorti da atti aventi data certa anteriore alla data di apertura della procedura. C’è da osservare, inoltre, che oltre alla sostituzione del termine “fallito” con quello di “debitore”, è stato previsto che l’abitazione “non può essere distratta da tale uso fino alla sua liquidazione”. In pratica, nell’ottica di garantire dignità e tutela al debitore, è stato previsto che lo stesso potrà usare tale bene fino alla sua vendita. Quest’ultimo termine, “certo”, fa sì che, al suo spirare, il debitore dovrà attivarsi celermente, secondo modalità e previsti dalla Legge, per rendere l’immobile libero da persone e cose, onde consentire alla curatela di mettere a disposizione del nuovo acquirente l’immobile oggetto di compravendita.
Conclusioni – Allo stato attuale, in attesa dell’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, la giurisprudenza ritiene che il soggetto destinatario della procedura di cui si discute, possa usare l’abitazione di proprietà o sulla quale vanta un diritto reale di godimento fino alla sua vendita da parte della curatela.