Vendite a distanza e commercio internazionale: il sistema paneuropeo, in attesa del Moss indiretto

Pubblicato il: 05/03/2020 – 14:51

Nell’ambito del commercio elettronico indiretto, ovvero la vendita che viene effettuata a distanza, ma con consegna fisica al consumatore finale della merce, attraverso posta o corriere, riveste particolare interesse l’intervento di società di servizi che, per conto di piattaforme di vendita online, offrono la gestione delle merci e delle vendite, identificando il soggetto residente in Italia in tutti i Paesi Ue dove si intende mettere in circolazione i propri beni.

Infatti il sistema Moss – Mini one stop shop – che semplifica di molto la vita a chi vende servizi, si applica, per ora, al solo sistema del commercio elettronico diretto, qualora venga superata la soglia di euro 10.000 al netto dell’Iva, provvedendo alla tassazione Iva nel Paese Ue di residenza del consumatore finale e non in quello del prestatore del servizio.

Invece i soggetti residenti in Italia che commercializzano merci e prodotti sulle piattaforme online internazionali, si trovano spesso nella condizione di dover scegliere con attenzione i mercati esteri nei quali intendono operare, a causa dei costi del trasporto e della logistica, oltre ai costi fiscali, che incidono pesantemente nella determinazione del margine di vendita.

Considerato l’esiguo margine commerciale che resta agli imprenditori dopo aver pagato la merce, gli oneri di sistema richiesti dalle piattaforme (soprattutto quelle più importanti, ad esempio Amazon) e le imposte di legge, in particolare l’Iva, la necessità di adottare un sistema che minimizzi i costi di gestione e consenta di mantenere inalterati i margini di guadagno, rispetto alle vendite domestiche, anche per le vendite all’estero, richiede di effettuare una scelta.

Questa scelta viene ora indirizzata, dalle stesse piattaforme online, che mettono a disposizione degli imprenditori italiani, fornitori di servizi sistematici per consentire l’identificazione del soggetto non residente, nei vari Paesi Ue, nei quali essi intendono vendere a soggetti privati.

Allora, per fare chiarezza, proviamo ad esemplificare.

La società “A” residente in Italia vende a consumatori finali in Italia, in Francia, in Germania ed in Uk, le proprie merci tramite piattaforma online di terzi (ad esempio, Amazon).

Il regime previsto dal sistema Iva internazionale è quello di applicare a tutti i privati consumatori finali acquirenti, l’aliquota Iva del Paese di residenza del venditore, cosiddetto sistema B2C – Business to Consumer.

Pertanto, la regola generale prevede che la società “A”, sia che venda ad un consumatore finale residente in Italia, che in Francia, Germania, Uk, dovrà applicare sempre l’aliquota Iva italiana corrispondente alla merce venduta (4%, 10%, 22%).

La regola trova una deroga, qualora le vendite online che vengono effettuate nei Paesi Ue superino una certa soglia:

Paese → Soglia per identificazione obbligatoria → Aliquota Iva
Francia → 100.000 euro → 20%
Germania → 100.000 euro → 19%
Spagna → 35.000 euro → 21%
Uk → 70.000 lire sterline → 20%

Tuttavia la società “A”, pur non superando i limiti di cui sopra, potrebbe decidere di optare per l’identificazione nel Paese estero di vendita – ovvero aprire una partita iva estera – ed applicare volontariamente le aliquote del Paese di destinazione, anche sotto soglia.

Ora poiché l’aliquota Iva dei Paesi suddetti è più o meno simile a quella domestica, è evidente che i motivi che possono convincere i soggetti sotto soglia ad identificarsi all’estero devono essere diversi.

Infatti, la società “A”, residente in Italia, facendo i calcoli dei costi della logisticadel trasporto e degli oneri di sistema, si rende conto che se detiene presso il magazzino italiano della piattaforma online della quale si serve, la merce da vendere, ad esempio ai clienti tedeschi, subisce a seguito di tali costi un’incidenza drammatica sul margine finale.

Dunque tendenzialmente cercherà di aprire almeno la partita Iva tedesca, allo scopo di ridurre i costi e di ottenere una gestione più snella ed un margine di guadagno più ampio.

Così potrà fare su tutti i mercati dei Paesi Ue per i quali riterrà di avere buone chances di vendita a consumatori finali.

Ma aprire partite Iva in ogni Paese Ue potrebbe essere oneroso, macchinoso e frammentario, dunque per “aiutare” le imprese nella circolazione del prodotto, ma soprattutto per non perdere utili sistematici, le piattaforme online, attraverso società specializzate, offrono il servizio di identificazione Iva sia in ogni singolo Paese Ue, che per tutti i Paesi Ue, con il sistema appunto denominato“paneuropeo”.

Queste società provvedono ad aprire le partita Iva estere, a registrare la merce in entrata e in uscita, a predisporre i modelli intra, a predisporre le liquidazioni periodiche e le dichiarazioni annuali Iva, per ogni Paese prescelto dalla nostra società “A”.

Ora che abbiamo illustrato in generale il sistema, dobbiamo affrontare le problematiche che si verificano in relazione alla applicazione delle norme iva internazionali ai rapporti fra la partita Iva domestica della società “A” e le sue partite Iva nei vari Paesi Ue.

Il primo problema che dovremo affrontare è quello di capire come, la merce, non ancora venduta al consumatore finale, si dovrà spostare dal magazzino italiano al magazzino, ad esempio, tedesco della società “A”.

Qui la società “A” si muove non più nel settore B2C, ma nel settore B2B intracomunitario, pertanto si ritiene che, in Italia, dovrebbero bastare, per mettere d’accordo tutti:

  • l’iscrizione al Vies;
  • l’emissione di una sana fattura intra-comunitaria ex art. 41 Dl 331/93 con mittente la partita Iva italiana della società “A” e destinataria la partita Iva tedesca della società “A”;
  • l’invio del modello “Intrastat”.

Dopo di che, si rientrerà nell’ambito del B2C intracomunitario e non resterà (?) che registrare nel sistema contabile nazionale – modificando opportunamente il piano dei conti – le diverse poste contabili, distinguendo fra costi e ricavi dei Paesi Ue, predisposti per ogni singolo Paese, così come le partite di credito, debito e liquidazione delle varie aliquote Iva dei vari Paesi Ue.

Attenzione, ovviamente sarà necessario comunicare alla società che offre il servizio di apertura e gestione adempimenti nei vari Paesi esteri, il costo della merce inviata all’estero – fra partite Iva, Italiana e tedesca, della società “A” – escluso ogni altro costo, ovvero il solo costo di acquisto effettivo della merce, altrimenti si rischia l’evasione di imposta nel Paese Ue di riferimento.

Finchè la merce viaggia dalla sede italiana della società “A” al magazzino tedesco della piattaforma, e da questo al consumatore finale in Germania, non dovrebbero esservi problemi.

Ma nel sistema “paneuropeo”, sia parziale – perché prevede solo alcuni Paesi Ue – che totale, perché li prevede tutti, la merce può essere spostata da un Paese all’altro, a discrezione della piattaforma online che gestisce le vendite per conto della società “A”, a seconda delle esigenze che si manifestano, in base alle richieste provenienti dai singoli Paesi.

Dunque, quando la merce si sposta, ad esempio, dal magazzino tedesco a quello spagnolo, per cui si muove dalla partita Iva tedesca alla partita Iva spagnola della società “A”, è obbligatorio emettere la fattura del B2B? E se si, chi è obbligato ad emetterla e a registrarla?

A seguito di tutti questi movimenti ovviamente la merce può circolare da un Paese Ue all’altro più volte, in diverse direzioni ed in diversi quantitativi.

È obbligatorio presentare i modelli Intrastat in ogni Paese Ue e ad ogni variazione?

Su questi due punti resta da fare chiarezza, ovviamente, anche se in teoria si tratterebbe di adempimenti che dovrebbero essere eseguiti, per conto della società “A”, dal fornitore di servizi che si occupa degli adempimenti Iva nei vari Paesi.

Pertanto a chi volesse iniziare subito l’attività di vendita in Paesi Ue, non resta che valutare:

  • se non vengono superate le soglie dei vari Paesi Ue di destinazione delle vendite B2C, di continuare ad applicare l’Iva domestica, accettando con buona pace il maggior costo di logistica, trasporto e spese generali richiesto dalle piattaforme online;
  • se non vengono superate dette soglie, di accedere comunque al sistema di identificazione in ogni singolo Paese Ue o utilizzando il sistema “paneuropeo” riducendo i costi di struttura, ma aumentando quelli amministrativi ed esponendosi a qualche rischio non solo in ambito iva domestica ma anche nei Paesi Ue;
  • se vengono superate dette soglie, di identificarsi obbligatoriamente nei vari Paesi Ue, come sopra.

Tutto ciò in attesa dell’entrata in vigore del Moss – Mini one stop shop – per il commercio elettronico indiretto, prevista per il primo gennaio 2021, quando, speriamo, il mal di testa potrebbe diminuire e gli operatori potrebbero dormire più tranquilli, eliminando i rischi sopra esposti.

Ma tutta questa attività internazionale, svolta attraverso partite Iva diverse con identificazione nei vari Paesi Ue, la movimentazione delle merci fra i vari magazzini nazionali, effettuata da terzi ma delegata dalla società “A” residente in Italia, connessa all’attività di pubblicizzazione ed indicizzazione, svolta via web da quest’ultima, non è che, alla luce della nuova definizione di stabile organizzazione ai fini delle imposte dirette, sia nella normativa italiana che in quella convenzionale, o anche nella sola definizione di stabile ai fini Iva, si potrebbe configurare l’esistenza di diverse stabili nei vari Paesi in cui si opera?

Chissà se il nuovo Moss, dal 2021, eliminerà anche questo – eventuale – problema.

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